Chi sono? Mah, mi vien da dire, citando un personaggio di Pirandello, “io sono colei che mi si vuole”. Come dire: guardate quello che faccio e fatevi voi un’idea di me. Dice di me una mia amica: “Ma come, ho conosciuto, una vita fa, una certa persona, e ora mi trovo davanti una persona del tutto diversa”. Che complimento…E spero di cambiare ancora.
Questo però voglio dire: sono orgogliosa di me per essere riuscita ad aprirmi alla diversità del mondo: in virtù di questo mi sento bene ovunque, anche se le mie radici sono qui.
Ho riversato nei viaggi la curiosità, la voglia di conoscere altro, il bisogno di cambiamento, lo spirito di avventura, forse una certa irrequietezza e la ricerca dei miei limiti.
Che cosa faccio
La fotografia
Il fotografo colora il mondo coi colori del suo mondo interiore.
L’obbiettivo coglie l’istante, fissa uno sguardo, un gesto, un’atmosfera, esprime una scelta, un atteggiamento mentale, un gusto.
Le mie foto mi assomigliano: più che l’insieme amo il particolare, il dettaglio, le inquadrature di scorcio.
I miei soggetti preferiti sono gli spazi ampi, sconfinati e i rilievi dolci, con una vegetazione bassa: le zone desertiche, steppose, comunque aride mi affascinano perchè lo sguardo può protendersi all’infinito senza trovare ostacoli, io respiro ossigeno puro e la mia anima si sente libera.
Amo in particolare i ritratti. Non ha importanza la provenienza geografica delle persone ritratte, ciò che mi interessa è l’espressione dei volti, la loro incisività. Mi interessa che , attraverso di essi, arrivi a chi li guarda l’idea che sulla faccia della terra tutti gli uomini umili e semplici, che conducono una vita fatta di lavoro e famiglia,si somigliano nella misura in cui hanno gli stessi problemi, affrontano le stesse difficoltà, coltivano gli affetti familiari e fondano il senso della loro esistenza nei valori della tradizione e della religione.
Al di là delle differenze culturali nei loro occhi si leggono la fiducia e l’ottimismo dei giovani maschi, la dolcezza di giovani donne , la serietà di bambini cresciuti troppo in fretta, il tranquillo distacco frutto dell’esperienza di un’intera vita.
Voglio che parlino le rughe, le labbra talvolta sorridenti talvolta con la piega amara, e soprattutto gli occhi.
>In tante donne anziane rivedo mia nonna e i suoi ricordi di un passato ingrato, fatto di enormi difficoltà economiche, di dolorosi lutti familiari, di una vita affrontata a capo chino ma senza mollare mai.Sarà per questo e molto altro che io questa gente me la sento vicina, a prescindere dal colore della pelle, dei tratti somatici, della diversità di religione e di cultura.
Nella vita, in fondo,le cose che veramente contano sono poche e lo sappiamo tutti.
Il viaggio
Ho letto una volta che fare un viaggio non è partire dal luogo in cui si vive per recarsi in un altro luogo e che il significato di un viaggio non consiste nella sua meta. Sono d’accordo. Chi va a Mosca per vedere il Cremlino fa del turismo.
Il viaggio, quello vero, è altro: non è “l’andare a…”ma è “l’andare”.Si può andare vicino o lontano, non importa. Ciò che conta è l’avventura dello spirito.
Viaggiare significa andare oltre le proprie colonne d’Ercole.Conoscete la storia di Ulisse: finita la guerra di Troia se ne andò per un decennio per le coste del Mediterraneo prima di fare ritorno a casa.Omero dice che fu una maledizione divina, insomma un destino, a tenerlo lontano da moglie e figlio.
Dante ci racconta che, qualche anno dopo, Ulisse, mosso dal desiderio di conoscere quello che ancora non conosceva, si mise di nuovo in mare e varcò le colonne d’Ercole,il confine che gli dei avevano imposto agli uomini
Ai suoi marinai, preoccupati per questa sfida temeraria,pare abbia detto: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”
Ciascuno di noi ha il suo mondo noto e le sue colonne d’Ercole che di quel mondo sono i confini; al di là di esse c’è tutto quello che ci è sconosciuto e che noi sentiamo come “altro”, come estraneo e forse anche temibile..
Il nostro “mondo noto”è quello che ci è familiare, il viaggio scaturisce dal desiderio forte di avvicinare quell’”altra” realtà con la convinzione che questo “incontro”sarà fonte di arricchimento.
L’incontro” non è facile: i pregiudizi, la diffidenza ci sono da entrambe le parti, bisogna metterlo in conto.E c’è la diversità della lingua che limita la possibilità di comunicare.E poi c’è la voglia di esotismo che spesso confondiamo con l’autenticità, la naturalità e che invece altro non è che il folklore locale ricostruito a uso e consumo del turista…io ti do quello che tu vuoi avere, mi mostro come tu credi che io sia..
Intendiamoci, non disdegno il mio mondo, io “sono” questo mondo, e tuttavia sento che la vera ricchezza è nella diversità condivisa, non in una società omologata.